Il titolo di questo post è copiato da quello di un capitolo del libro di Brian Eno "A Year With Swollen Appendices" (in Italia "Futuri Impensabili"), che nel 1996 proponeva la possibilità per i musicisti di trovare nuove forme di espressione musicale identificandosi con personaggi appositamente immaginari :
“E' il 2008. Sei un musicista in una delle nuove bande 'Neo-Science' che suona in club underground del ghetto afrocinese di Osaka, non lontano dall'università. Il pubblico è sotto l'effetto del 'Dreamwater', un nuovo allucinogeno auditivo così potente che può essere trasmesso dalla sola condensazione del sudore. Anche tu subisci i suoi effetti e ti senti affascinato da intricati schemi ritmici su una nota sola, geroglifici da stele di Rosetta simili a elitre. Non segui una chiave particolare: produci esplosioni casuali di dati che irradi nella performance. Sei perso nella bellezza astratta e razionale di un sistema che nessun altro capisce pienamente, inviando messaggi intraducibili. Sei un grande artista ed il pubblico si aspetta da te una sfida intellettuale. Da ragazzo il tuo disco preferito (nella collezione di papà) era TROUT MASK REPLICA”.
...
“Suoni in un collettivo improvvisato 'Neo-m-base'. E' il 1999, la vigilia del millennio. Il mondo trattiene il respiro e le relazioni internazionali sono tese. Tu suoni strati atonali di musica glaciale, che stanno sospesi limpidi nell'aria, creando una mutevole tinta di sottofondo dietro la musica...”
L'intero capitolo è piacevolmente ed intelligentemente originale, come il resto del libro (un diario quotidiano dell'intero anno 1996, con osservazioni di ogni tipo), e questa citazione è dovuta al fatto che da tempo quel titolo mi solletica un giochino analogo, che può esser fatto con uno degli aspetti più noti di tutto il music business : l'ego degli artisti.
Quando si parla di artisti famosi, è quasi naturale riferirsi a loro come persone smaccatamente egoiche. Ma le variabili in gioco sono molte, ed è difficile prendere per vera questa affermazione senza conoscere un po' l'ambiente.
Personalmente, ritengo sarebbe più interessante provare a capire se questo aspetto (l'ego) è una causa o un effetto della fama. O, prima ancora della fama, osservare il ruolo dell'ego dei musicisti in generale, anche in una normale sala prove :)
In molti casi questo ego è semplicemente un notevole grado di autostima, salutare finché non si varca la famosa soglia in cui l'artista smette di dare il giusto risalto al proprio talento per assecondare invece un vago delirio di onnipotenza.
In altri è invece un aspetto influenzato da fattori sociali, tipo il bisogno di piacere al pubblico, di avere un comportamento ‘codificato’ (da artista), di dover dimostrare di essere migliori, decisivi certo per costruirsi il giro di rapporti sociali, ma anche pericolosamente artefici di frustranti e malriposte aspettative che condizionano gli artisti al punto da far loro scegliere strade inopportune, con la sola speranza di avere più visibilità.
Se a ciò uniamo l'inconsapevolezza che guida le dinamiche personali di ognuno (problemi e schemi mentali ereditati in famiglia, o vissuti sul lavoro, o a scuola), viene fuori qualcosa che condiziona pesantemente le relazioni e, di conseguenza, la vita delle band.
Immaginiamo ora per un attimo che ogni artista possa 'vedere' e 'sentire' il suo ego in azione.
Il primo frutto di questa capacità diventa quello di smettere di identificarsi inconsciamente con esso, sganciandosi da quella che fino a quel punto era stata ritenuta l'unica visuale possibile (obiettivo che è anche alla base di ogni forma di meditazione).
E dato che in quel momento inizia anche la comprensione delle identificazioni altrui (se non ho visto prima le mie, non posso vedere davvero niente di quelle di chi mi circonda), può essere possibile (e divertente) giocare un po' ad interpretarne alcune coscientemente, e con intenti creativi.
Immaginiamo ora di provare a prendere quattro tipi di personalità egoica molto diffusi in campo artistico-musicale (uno dei quali vissuti personalmente in passato) ed elaborare qualcosa di simile ai giochi di ruolo di Brian Eno (vi giuro che avevo appena scritto Brian EGO...).
Esattamente come i suoi (che vi consiglio di leggere, insieme al resto del libro), anche questi possono essere usati per stimolare l'immaginazione, per sentire le cose in modo musicalmente diverso rispetto alle convenzioni/convinzioni acquisite, per smettere di prendere alcune cose sul serio e cominciare a prenderne sul serio altre, oppure anche soltanto per riflettere sull'argomento e basta.
Possono essere provati anche in una normale sala prove, a patto che tutti i membri della band siano messi al corrente ed abbiano voglia di collaborare senza pregiudizi ;)
E, soprattutto, chiunque può crearne di nuovi, partendo dagli stessi presupposti.
L'artista incompreso.
Siamo nel 2179, sei reduce da una serie di fallimentari colloqui lavorativi a Kyoto per un posto come badante di androidi con talenti artistici (da tempo gli esseri umani delegano ormai a loro ogni forma di esecuzione musicale). Nell'ultimo colloquio hai improvvisamente cercato di chiedere se tu e l'androide potevate ogni tanto scambiare i ruoli, e questa cosa non è piaciuta affatto.
Attualmente il tuo modo di esprimerti non è codificato dal protocollo CRUC (comunicazioni ritenute ufficialmente comprensibili), perché ritenuto troppo emotivo, ed in ogni caso un musicista umano non interessa a nessuno.
Sogni che un giorno le istituzioni possano finalmente ricredersi sulle tue reali capacità, ma nel frattempo l'unica cosa che riesci a fare è suonare il piano di nascosto, in vecchie catapecchie ai margini della città, con persone che hanno il tuo stesso problema (prevalentemente hacker che lavorano per disattivare su larga scala il microchip artistico degli androidi).
Le tue performances oscillano tra momenti di oscura e monotona incomprensibilità rumoristica ed improvvisi squarci di crepuscolari melodie pop, gli unici due mood che gli androidi pare non siano in grado di ricreare (e che proprio per questo nessuno ascolta più).
Il maestro di tecnica.
Siamo nel 1985 a Los Angeles, sei nel backstage di un locale ritenuto meta imprescindibile per qualsiasi virtuoso con la permanente riccia e bionda. Hai appena ricevuto i complimenti da Steve Montani, l'insegnante di chitarra elettrica delle star (con cattedra alla Berklee), che ti ha identificato come il suo diretto successore. Preso da enfasi, arringhi i tuoi musicisti (che hai pagato per assecondarti) sulla necessità di inserire molta più improvvisazione nello spettacolo della sera, e ribalti la scaletta mettendo in apertura un blues di 12 battute in 5/4, che ti vede impegnato continuamente in assolo. Per sottolineare la tua diversità decidi di suonare soltanto terzine, che anneghi dentro montagne di reverse delay, estraniando completamente il pubblico in sala.
Il modaiolo naif.
Siamo nel 1966 a Londra, sei un abituale frequentatore di tutti i locali di tendenza, ma fatichi a ricordarne con precisione i nomi per via dell'uso troppo disinvolto di alcune nuove sostanze che arrivano con crescente entusiasmo dagli States. Non studi, non lavori, non guardi la tv. Saltuariamente tuo padre ti fa pulire il giardino ed il garage da cima a fondo, ed è in una di queste occasioni che hai trovato il basso elettrico che porti sempre con te. La tua specialità è suonare le corde a vuoto con la mano destra ed usare la sinistra per smanopolare in maniera schizofrenica il volume del piccolo amplificatore che uno zio ti ha costruito con le valvole scartate da un televisore.
La tua band è in realtà appassionata di cinema (la cosa attira molte ragazze) ed il tuo obiettivo è creare ipnotiche onde stazionarie fuori tempo che invadono il locale di turno in corrispondenza delle scene più psichedeliche di film appositamente proiettati dietro di voi. Ogni tanto, a sorpresa, cambi l'accordatura del mi basso e inizi a seguire ritmicamente la batteria, suonando soltanto in corrispondenza dei colpi di rullante.
Il professionista in ascesa.
Siamo nel 2029, ti trovi in un ashram vicino Dharamsala, India, e frequenti un residenziale di meditazione che ha lo scopo di riconciliarti con un ramo della tua famiglia appartenente ad un'altra casta. I tuoi genitori ti hanno insegnato che le regole vanno rispettate ed è per quello che tu hai sempre studiato tanto, ma soltanto per accontentarli. Anche lo studio delle percussioni ha seguito inizialmente questa dinamica, fino al giorno in cui ti sei accorto che più picchiavi sulle pelli e più facevi uscire sensazioni molto vicine alla rabbia. Ecco spiegata la tua presenza al residenziale, durante il quale fai la conoscenza, suonandoci insieme, di un ensemble artistico che esegue musica eupeptica. Ma il tuo tamburellare incessante ottiene esattamente l'effetto opposto, perché viene eseguito insieme a delle urla, le tue, che non riesci a trattenere. La cosa si fa ulteriormente impegnativa quando inizi ad abbinare ad ogni percussione del set un urlo diverso, che esegui comunque con compassata professionalità, nel tentativo di dimostrare la tua superiorità rispetto ai colleghi dell'ensemble.
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